Ferruccio Cortesi e Carla Iacono Isidoro sono due appassionati di “cultura” tolkeniana. Entrambi archeologi (Ferruccio esercita concretamente la professione abbinandola al ruolo di ricercatore presso l’Università di Bologna mentre Carla è attualmente bibliotecaria presso lo stesso ateneo) hanno pensato di coniugare le loro grandi passioni intraprendendo un percorso alla scoperta delle fonti archeologiche che potrebbero aver ispirato il professore nella creazione di quel legendarium che lo impegnò per gran parte della sua vita.

Con l’intervento dal titolo “Tolkien e l’archeologia”, organizzato dall’Associazione Culturale Rohirrim e presentato a Verona lo scorso 28 maggio all’interno della libreria Qui Edit, Ferruccio e Carla hanno illustrato le loro ipotesi sulla nascita di nomi, luoghi e popoli della Terra di Mezzo. Precisando che le loro deduzioni si sono basate sullo studio di fonti bibliografiche e iconografiche presenti sia nella biblioteca personale di Tolkien, sia nella biblioteca dell’Università di Oxford e pertanto di facile accessibilità al filologo, sono stati portati alla luce una serie di riferimenti molto interessanti. A cominciare proprio da quell’oggetto che tanto ha influito sulla storia della Terra di Mezzo, nella finzione, e sulla storia dei due libri che hanno incoronato Tolkien re del fantasy epico, nella realtà.

L’Unico è messo in relazione con un reperto rinvenuto nel 18° secolo nella cittadina inglese di Silchester: un antico anello, risalente all’epoca romana, su cui è incisa una maledizione indirizzata a colui che lo aveva rubato. Tolkien ebbe modo di studiare questo ritrovamento: la possibilità pertanto che possa aver attinto da qui per “forgiare” a sua volta l’anello maledetto di Sauron è assai probabile.

La lezione di archeologia applicata all’invenzione tolkeniana continua attraverso l’illustrazione di altre “coincidenze” che apparentemente coincidenze non sono: come la struttura delle case hobbit che richiama quelle interrate del neolitico o l’origine della struttura a palafitta di Pontelagolungo, così simile a quella di un antico insediamento svizzero, e quella  di Meduseld, che somiglia alle “case lunghe” di origine vichinga. E ancora una diversa teoria sull’ascendenza dei Rohirrim, popolo dei cavalli come i Longobardi, e il paragone tra il mutapelle Beorn e i Berserkr, gli uomini orso, i feroci guerrieri scandinavi utilizzati come elementi di sfondamento delle prime linee nemiche perché dotati di forza eccezionale e insensibili al dolore. E poi tutta la tradizione nordica dei tumuli, con un particolare richiamo ai Tumulilande ma anche alla sepoltura di Boromir coricato in una imbarcazione e affidato all’acqua.

C’è anche l’archeologia industriale, che ritroviamo nel mulino di Hobbiville e ancora i prestiti linguistici dagli antichi alfabeti di cui quello runico è sicuramente il più palese e più conosciuto. Tolkien aveva la possibilità di visionare i libri, di parlare coi colleghi di ateneo impegnati nell’ambito archeologico, di visitare personalmente alcuni siti. Ecco perché i nostri studiosi, pur non potendo affermare con certezza assoluta la veridicità delle loro intuizioni, poggiano comunque le loro teorie su una evidente corrispondenza tra ciò che Tolkien inventa e il materiale documentario noto e certificato.

L’incontro del 28 maggio, corredato da un esaustivo apparato iconografico, ha sicuramento arricchito ulteriormente le informazioni sulla genesi dei mondi e delle vicende nate dalla fantasia dello scrittore britannico, confermando come il suo lavoro sia felice debitore tanto di uno studio sistematico quanto di ispirazioni estemporanee colte nelle tracce di un continente agli albori della civiltà.

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