Ci sono occasioni che si presentano tutto ad un tratto, senza troppo preavviso, e che ti provocano con la loro potenziale unicità; che obbligano a porsi faccia a faccia con i propri dubbi ed incertezze con il loro implicito appello ad essere colte. Una di queste è stata il workshop Riding dragons tenuta presso il MiMaster di Milano: una realtà formativa che si propone di “fare di una passione creativa la tua professione” proponendo percorsi differenziati per durata, target e finalità ad aspiranti illustratori. Oltre al vero e proprio master annuale, è possibile frequentare singoli moduli tematici o workshop più brevi (come questo, della durata di tre giorni) ma sempre affidati ad artisti di spessore internazionale: in questo caso John Howe in persona. Conosco il suo lavoro da anni, come non può non capitare a chi, come me, coniuga la passione per Tolkien a quella per l’illustrazione.
John è originario del Canada, ha studiato arte a Strasburgo e vive attualmente in Svizzera; ha illustrato molte opere di Tolkien e antiche saghe come Beowulf, ha collaborato alla realizzazione del film tratto da Le cronache di Narnia – il leone la strega e l’armadio di Lewis, ha realizzato carte da gioco e libri per bambini, nonché ha esposto sue opere in mezza Europa e negli Stati Uniti. Ma naturalmente il suo nome, accanto a quello di Alan Lee, è noto soprattutto per il loro ruolo di concept designer per la produzione cinematografica della trilogia del Signore degli Anelli, e successivamente per Lo Hobbit. In pratica, si tratta di uno dei “padri” della realizzazione grafica della Terra di Mezzo che Peter Jackson ha fatto conoscere e amare al grande pubblico, non esclusa una ragazzina di 11 anni che una dozzina di anni fa fu costretta, del tutto controvoglia (povera stupida me), a guardare quel lunghissimo film con il papà e che, stregata contro ogni aspettativa, scoprì in seguito tutto il mondo e la letteratura di Tolkien, innamorandosene perdutamente.
Quando ero venuta a conoscenza di questa opportunità, in un primo momento mi ero fatta molte domande: dopotutto è solo da pochi anni che ho ripreso a disegnare, e per di più saltuariamente. Magari mi sarei trovata in mezzo ad uno stuolo di artisti professionisti che si sarebbero chiesti che ci facevo io lì. Magari sarebbe stato un disastro. Ma poi aveva prevalso la mia dimensione più temeraria: pur essendo caratterialmente molto “Baggins”, anch’io come Bilbo nascondo un lato vagamente “Tuc”. Anche se di solito sonnecchia, a volte si fa spazio, sorprendendo me per prima. In fin dei conti, pensavo, il mio scopo era imparare qualcosa e non dare sfoggio delle mie (piuttosto rozze) abilità. E poi, quando mai mi sarebbe capitata di nuovo l’occasione di imparare proprio da John Howe? In genere non amo troppo i rischi, ma li preferisco di gran lunga ai rimpianti, perciò mi ero iscritta e presentata alla sede del master la mattina del 17 febbraio.
Quando il nostro illustre insegnante fa la sua comparsa sono molto tesa, ma non posso non restare sorpresa: altissimo e molto magro, John Howe si muove con circospezione come se la trentina di facce che lo guardano lo mettessero vagamente a disagio.
John Howe all’opera: un occhio di dragoImpressione, questa, che conferma nel presentarsi: senza il minimo accenno al suo (notevolissimo) curriculum, anzi con la confessione di essere “very nervous” (….nervoso? LUI???). Mi rilassa in parte notare la sua semplicità disarmante e la spiazzante umiltà che continua a dimostrare nei successivi tre giorni. John è anche estremamente disponibile, e trascorre queste tre giornate a passare tra i tavoli, fermandosi a parlare con ogni singolo corsista, esaminando l’opera in corso e distribuendo consigli. Ci parla di come realizzare un disegno partendo dalle basi (“Anche se sono strumenti simili, la matita NON si tiene come una penna! E quello cos’è, un temperino? Mettilo via, la matita va affilata col taglierino!”) arrivando via via a toccare dimensioni più specifiche, come previsto dagli obiettivi del workshop: progettare e caratterizzare un personaggio, impostare una scena secondo le leggi dell’illustrazione narrativa e infine realizzarla secondo le tecniche preferite.
Il giovedì pomeriggio vengo raggiunta da altri soci dell’Associazione Culturale Rohirrim, dagli amici de La Compagnia degli Argonath, e dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, per assistere ad una conferenza aperta al pubblico, con l’intervento di Wu Ming 4.
La sala è gremita e John, seppur visibilmente (e comprensibilmente) stanco, partecipa affabilmente, strappando al pubblico qualche risata nel raccontarci di come si è accostato per la prima volta, dodicenne, all’opera di Tolkien: “in biblioteca non avevano La Compagnia dell’Anello, così ho preso Le due torri, poi ho letto Il ritorno del re e solo dopo sono tornato indietro. Li ho letti nell’ordine sbagliato. Non è stata una grande idea in effetti”. Ci parla poi del significato che hanno per lui il mito e di come la letteratura, non solo di Tolkien, cerchi di riportarlo in vita, proiettandoci in un mondo “altro” rispetto alla quotidianità a volte arida; non tanto per fuggire da essa, quanto per riscoprirvi una dimensione di significato e, perché no, di spiritualità. Ci mostra suoi lavori e ci parla della sua particolare passione per i draghi, con tutto il bagaglio di simbologie che le diverse culture hanno loro attribuito. Infine si rende disponibile per qualche foto e autografo.
Nel corso dell’ultimo giorno di workshop, il venerdì, ogni partecipante ha la possibilità di confrontarsi direttamente con un grande artista, un professionista competente e un buon maestro, sempre pronto ad ascoltare progetti, dare suggerimenti e piccole dimostrazioni, visionare portfoli, consigliare tecniche o percorsi, incoraggiare e manifestare stima e apprezzamento. Ha un modo di fare estremamente stimolante pur nella sua grande pacatezza, e il confronto con le sue idee è davvero molto costruttivo e prezioso.
L’incontro con la sua arte e con la sua personalità, così profondamente umana, sono stati davvero molto arricchenti e sono veramente contenta di aver messo a tacere le mie insicurezze per buttarmi, un po’ follemente, in questa avventura. Insieme a tanti nuovi spunti e consigli, mi porto a casa un personale e preziosissimo incoraggiamento: “Hai fatto bene a riportare a galla questo aspetto di te adesso che sei giovane… molte persone si accorgono di aver represso la loro creatività per tutta la vita soltanto quando vanno in pensione. Tu procurati uno sketchbook e continua a disegnare! Nella peggiore delle ipotesi, quando anche non ne venisse fuori assolutamente nulla, sarai comunque più felice”.
Grazie John: è stato un piacere ed un grande onore poterti conoscere e lavorare con te.

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